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Medicine complementari: vita più lunga e meno costi.

Medicine complementariSe il medico  conosce anche le medicine complementari, si riduce la spesa sanitaria e i pazienti vivono più a lungo.

E’ quanto si legge nel lavoro condotto da due ricercatori olandesi P. Kooreman ed E W Baars dell’Università di Tilburg pubblicato sull’European Journal of Health Economics.

I dati riguardanti 1913 medici di medicina generale “convenzionali” sono stati messi a confronto con quelli di 79 medici di base che avevano una formazione aggiuntiva in una medicina complementare, 25 in agopuntura, 28 in omeopatia, e 26 in medicina antroposofica.

Ecco in sintesi i risultati: i pazienti dei medici che alla formazione classica aggiungono anche un training in medicina complementare presentano un tasso di mortalità inferiore fino al 30%. Anche i costi a loro riferiti sono inferiori fino al 30% con percentuali che cambiano in relazione alla fascia di età e al tipo di medicina complementare utilizzata.

La riduzione dei costi sanitari è ascrivibile a un minor numero di ricoveri ospedalieri e al minor ricorso a medicinali da prescrizione.

Nella discussione per spiegar questi risultati si formulano alcune ipotesi: la selezione (è probabile  che chi è poco propenso a interventi medici si rivolga alle medicine complementari) ma anche il fatto che  le terapie adottate dai medici che conoscono anche la medicina complementare siano migliori, che cioè si tende a non attuare trattamenti farmacologici eccessivi (e spesso immotivati) e ci si concentra soprattutto nella prevenzione e sulla promozione della salute.

Articolo originale: Patients whose GP knows complementary medicine tend to have lower costs and live longer, P Kooreman – E. W. Baars, Eur J Health Econ, 22 giugno 2011.

 

Vita lunga e sana. Dieta o connessione con gli altri?

vita lunga e sanaCome popolo , i giapponesi affascinano gli studenti di epidemiologia perché sono un apparente paradosso: essi hanno i più bassi tassi di malattie cardiache in tutto il mondo, nonostante il fatto che il fumo , uno dei fattori di rischio più forti, sia estremamente diffuso.

Le statistiche di longevità del Giappone confondono tutte le nostre aspettative su quello che serve per vivere una vita lunga e sana . Il paese produce il maggior numero di centenari al mondo, attualmente è stato rilevato che 40.000 persone giapponesi hanno raggiunto il loro centesimo compleanno, molti dei quali fumatori .

Gli epidemiologi hanno trovato particolarmente interessante studiare le società trapiantate in altri paesi , in quanto offrono l’opportunità di esaminare come si comporta una comunità di fronte a profondi sconvolgimenti sociali, culturali e alimentari . Len Syme e Reuel Stallones , docenti presso la School of Public Health a Berkeley , hanno voluto studiare proprio questo problema esaminando il rischio di malattie cardiache in un gruppo di 12.000 uomini, divisi tra coloro che sono rimasti in Giappone e due gruppi che erano emigrati alle Hawaii o nella California del Nord .

Hamburger

– Stallones era interessato a sapere se i giapponesi avevano bassi tassi di malattie cardiache nel loro paese a causa della loro dieta povera di grassi e se il tasso saliva adottando una dieta americana tipica – hamburger e patatine fritte.

– Syme era affascinato dal fattore sociale : cambiare paese e cultura era talmente destabilizzante da causare malattie cardiache?

Sorprendentemente i loro risultati sono apparsi essere indipendenti da qualsiasi cambiamento di dieta per alcune delle persone esaminate, qualunque cosa mangiassero – se tofu e sushi o un Big Mac e patatine fritte , non si rilevava alcuna diretta incidenza sulla propensione alla malattia di cuore. Anche fattori di rischio come il fumo e la pressione alta risultavano ininfluenti.

A fare la differenza era il tipo di socialità instaurata dopo essere emigrati.  Il gruppo che manteneva le proprie tradizioni, reti e supporti sociali aveva un tasso di attacchi al cuore analogo a quello dei compagni giapponesi che tornavano a casa, mentre in quelli che adottavano il lifestyle occidentale aumentava via via l’incidenza di attacchi di cuore da tre a cinque volte. Queste differenze non avevano dunque a che fare con gli usuali fattori di rischio come la dieta,  il colesterolo alto, pressione alta , fumo e storia familiare.

La mobilità sociale – trasferirsi al di fuori del proprio gruppo e non più appartenervi – ti ammala! 

Leonard Syme fu così affascinato da questi risultati che si recò in Giappone e intervistò decine di giapponese per trovare l’X-factor che motivava questa inespugnabile buona salute.

Quello che scoprì, come i suoi intervistati ripeterono intervista dopo intervista , era che gli americani erano soli.

I giapponesi , in particolare nel sud del Giappone , sostengono gruppi sociali affiatati che sono di reciproco sostegno , anche nel mondo degli affari . Fino alla grave recessione economica del Giappone nel 1990, entrare in un’azienda come dipendente era simile a sposarsi, una relazione per la vita.

Syme poi esaminò l‘importanza delle reti sociali e di sostegno sociale come protezione contro le malattie cardiache. Fu in grado di dimostrare che coloro che si sentivano soli e socialmente isolati avevano 2-3 volte più probabilità di morire di malattie cardiache rispetto a chi si sentiva connesso agli altri.

Le nostre risposte biologiche allo stress e il meccanismo di “lotta o fuggi“prodotto dal nostro sistema nervoso ed endocrino autonomo , sono attenuati e sotto controllo quando un compagno (partner, amico) è presente o crediamo che il supporto sarà presente , o anche quando si pensa di avere un sostegno .

Syme ha concluso che la qualità della connessione ad una persona di stretta vicinanza geografica è uno dei più potenti predittori di vita lunga e sana o di malattia. Anche di fronte alle avversità devastanti , la connessione ad un gruppo coeso può essere protettivo contro le malattie indipendentemente da qualsiasi fattore di rischio sia esso emigrazione,  povertà , cattiva alimentazione, anche alcolismo .

UnioneLa necessità di andare oltre i confini di noi stessi come individui  per legare con un gruppo è così primordiale e necessario per gli esseri umani, che resta il fattore determinante per rimanere sani o ammalati.

E’ la chiave per una vita lunga e sana. E ‘più importante per noi di qualsiasi programma di dieta o esercizio fisico, ci protegge contro le peggiori tossine e le più grandi avversità , è il miglior farmaco del mondo, anche meglio di dieta ed esercizio fisico .

Il legame che creiamo con un gruppo è il bisogno più fondamentale che abbiamo perché genera il nostro stato più autentico dell’essere: il senso di appartenenza , di essere parte di qualcosa di più grande .

Sintomi e stress da brutte notizie. Le brutte notizie determinano un effetto nocebo.

Il Giornale OnlineEsser assaliti ogni giorno da pessimistiche notizie inerenti malattie, virus o patologie può far si che anche un soggetto sano possa percepire stress, o avere, gli stessi sintomi  descritti: si chiama effetto nocebo (dal latino ‘nocere’, nuocere). È quanto emerge dallo studio condotto dall’Università di Johannes Gutemberg a Mainz, che ha cercato di verificare il grado di influenza psicologica delle brutte notizie sulle persone. La ricerca, coordinata dal Dott. Michael Witthoft, ha dimostrato che il numero di persone, per così dire “impressionabili”, sia molto più alto di quel che si crede.

Tali soggetti se pressati da un numero eccessivo, o particolarmente negativo, di notizie su malattie, o sugli effetti collaterali di un farmaco, o sulla possibilità di poter contrarre un virus, subiranno i sintomi anche senza aver veramente contratto una patologia. L’esperimento è stato condotto con 147 volontari che sono stati divisi in due gruppi e sottoposti alla visione di due differenti documentari: nel primo la Bbc raccontava i rischi collegati all’esposizione a onde elettromagnetiche associate ai cellulari e alla tecnologia wi-fi, l’altro gruppo invece osservava una relazione sulla sicurezza su internet e dei dati del telefono cellulare.

Successivamente i ricercatori hanno portato i due gruppi in un ambiente dove hanno fatto credere ai volontari che erano presenti onde elettromagnetiche generate da wi-fi. Molti tra coloro che avevano guardato il documentario inerente questo argomento anche se non esposti realmente alle onde elettromagnetiche hanno manifestato la sintomatologia dell’ipersensibilità elettromagnetica, ovvero mal di testa, distrazione, confusione e vertigini descritta nel documentario. Due persone hanno addirittura abbandonato l’esperimento. Il dott. Witthoft ha così concluso che le notizie sensazionalistiche possono essere somatizzate e avere un impatto sulla salute della popolazione trasformando una percezione in un fatto, l’effetto nocebo simmetricamente all’effetto placebo innesca i sintomi patologici anche senza una reale esposizione a ciò che dovrebbe esserne la causa.

Il potere delle credenze è grande. Gli ipocondriaci sono avvisati: bisogna pensare, e ascoltare, positivo!

Il cervello di Einstein era superconnesso: “Il segreto del genio nel legame degli emisferi”

   Uno studio torna a indagare le origini biologiche della brillante intelligenza dello scienziato: il corpo calloso, la lamina di fibre che collega parte destra e sinistra consentendo l’uniformità del ragionamento, era più spesso della media. Come se, nel padre della relatività, il lato creativo e quello analitico comunicassero meglio e in maniera più virtuosa

PLOTONI di luminari si affannano da decenni per scoprire il segreto di Albert Einstein. Per scovare cioè la chiave della sua brillante intelligenza, che lo ha condotto a svelare i meccanismi reconditi dello spazio e del tempo. Lo fanno sulla base di una serie di immagini del cervello, alcune delle quali realizzate in fretta e furia il 18 aprile 1955 dal patologo Thomas Harvey, il patologo che eseguì l’autopsia al Princeton Hospital, dopo la morte. Ora un’altra ricerca, molto più affascinante, torna a indagare gli enigmi del padre della relatività.

Una indagine pubblicata su Brain, punta  sugli emisferi: secondo un team internazionale capitanato da Weiwei Men della East China Normal University di Shanghai, il cervello dello scienziato tedesco naturalizzato statunitense sarebbe stato clamorosamente iperconnesso.

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O meglio, le due parti in cui si divide il cervello – che presentano notevoli differenze funzionali – sarebbero state collegate in modo non usuale.

Per condurre la ricerca Weiwei e colleghi – fra cui Tao Sun della Washington University School of Medicine – hanno sfruttato 14 scatti fotografici inediti in alta risoluzione presi da diverse angolazioni. Due, in particolare, sono alla base delle scoperte. Sotto la lente è dunque finito lo spessore del cosiddetto corpo calloso. Di cosa si tratta? Dell’importante lamina interposta appunto tra i due emisferi cerebrali che collega tra loro aree corrispondenti nelle due metà. Serve a dare uniformità all’informazione elaborata in maniera diversa da ciascun emisfero. È esclusivamente grazie a quel ponte fibroso che i due aspetti del cervello, quello creativo e razionale, il cervello poeta e quello ingegnere, riescono a comunicare. Partorendo un unico risultato. A quanto pare gli scienziati hanno scoperto che il corpo calloso di era più spesso in diverse zone. Soprattutto se comparato con la stessa struttura in due gruppi di controllo composti da 15 maschi più anziani e 52 più giovani nel 1905. Quello, come noto, fu il cosiddetto annus mirabilis: il 26enne Einstein pubblicò sei lavori che avrebbero gettato le basi per la rivoluzione della fisica moderna. Dalla teoria dei quanti di Planck a quella della relatività ristretta, che anticipò di un decennio quella generale. L’accentuato spessore indica una maggiore interconnessione fra i due emisferi che, secondo i ricercatori, sarebbe all’origine della sua brillante attività accademica e scientifica.

La tecnica sviluppata dal team sino-statunitense “misura e codifica il cambiamento di spessore del corpo calloso per tutta la sua lunghezza, dove i nervi passano da una parte del cervello all’altra – hanno spiegato dalla Florida State University, dove lavora Falk – questi livelli di spessore indicano il numero di connessioni che attraversano le due parti e quindi quanto sono collegati i due emisferi in queste regioni, aree che facilitano funzioni diverse a seconda di dov’è situata l’abbondanza di fibre”. Insomma, questa sintonia fra il lato destro – fantasioso, immaginifico ed emotivo – e quello sinistro – analitico, calcolatore e razionale – del cervello sarebbe alla base della fervida intelligenza di Albert Einstein. Rimane da appurare se questa spiccata comunicazione fosse un dono di natura o si sia è sviluppata col lavoro intellettuale.

 

PSYCH-K ® Video di presentazione

Video di presentazione PSYCH-K ® Video di presentazione PSYCH-K

Le basi di PSYCH-K ®

Le esperienze fatte fin da piccoli, le cose che ci hanno insegnato e fatto credere, sono registrate nella mente subconscia e, automaticamente, influenzano in modo profondo ciò che facciamo e pensiamo.

Dunque sia i momenti di benessere e tranquillità, in cui le cose scorrono fluidamente, sia quelli stressanti che si accompagnano a preoccupazioni, disturbi fisici, sfiducia sono determinati e controllati dalla mente subconscia.                                                                                                                                                                     

Nonostante buona volontà e impegno a volte non riusciamo a sbloccare queste situazioni e le difficoltà continuano a ripetersi.     Questo può cambiare solo se riusciamo a cambiare le cose a livello subconscio.

PSYCH-K ® è uno strumento potente e flessibile per riprogrammare il subconscio in modo efficace e ottenere i cambiamenti desiderati realizzando i nostri obbiettivi rapidamente.

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L’attività fisica e lo sport proteggono il tessuto nervoso

Lo sport fa bene e l’attività fisica fa bene al cervello.

Infatti è ormai dimostrato che l’esercizio fisico e lo sport svolge un ruolo protettivo nei confronti del tessuto nervoso. Soprattutto l’attività aerobica (correre, camminare, ecc.) ha un’azione del tutto benefica in quanto migliora le abilità cognitive, ha un’azione antinvecchiamento cerebrale, migliora i deficit neurologici e motori causati dal alcune patologie neurodegenerative come il Parkinson, l’Alzheimer e la Sclerosi Multipla. Questi effetti positivi sono dovuti alla stimolazione delle cellule staminali cerebrali. Già da anni (circa dal 2000) si conoscono i vari meccanismi con cui l’attività fisica stimola la neurogenesi. Sono due le sostanze neuroattive implicate in quest’azione. Si tratta dell’IGF-1 (fattore insulino-simile di primo tipo) e dell’anandamide e vengono private viewer instagram liberate dai muscoli durante il movimento e tramite il circolo sanguigno arrivano al cervello. ).

Dopo giorni musically followers without human verification di attività, nel sangue delle persone allenate alla corsa a piedi e in bici, i livelli della BDNF.

Si tratta di una sostanza grassa e come tale può passare facilmente dal sangue periferico al cervello stimolando la plasticità cerebrale, cioè aumenta la capacità di creare nuove connessioni (sinapsi) soprattutto a livello dell’ippocampo

Esiste quindi una rete di relazioni tra le sostanze che stimolano le staminali e proteggono il cervello e questa rete è promossa dall’attività fisica.

Bruce Lipton – Il cambiamento

Bruce Lipton 1Il cambiamento, Intervista a Bruce Lipton, biologo cellulare autore della Biologia delle credenze. Best Science Book (USA Book News)

La paura più grande della maggior parte delle persone è la paura del cambiamento. Una volta che le persone sono sicure di qualcosa dicono “So cos’è questa cosa ma non so cos’è quell’altra” e quindi si attaccano a ciò che conoscono anche se la condizione o relazione vissuta presenta forti difficoltà, talvolta anche in presenza di violenze. Temono che una volta al di fuori di quella situazione, le cose possano andare anche peggio

www.brucelipton.com